LA CORTE D'APPELLO 
 
    Nel procedimento n. 781/2013 ci carico di P.M.  e  D.N.  entrambi
appellanti, condannati: 
    il primo, per il reato di estorsione tentata commesso in data  11
febbraio 2011 ai danni di G.G., esclusa l'aggravante di cui  all'art.
628, comma 3, numero 3bis, c.p., ritenuta la recidiva, alla  pena  di
anni cinque di reclusione ed euro 2.500 di multa; 
    il secondo, per il reato previsto e punito dagli articoli 110, 81
c.p.v., 61 n. 7, 629 c.p. e 7 legge n. 203/1991  ai  danni  di  G.G.,
esclusa l'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, numero 3-bis  c.p.
e, limitatamente alla  fattispecie  consumata,  l'aggravante  di  cui
all'art. 61, n. 7 c.p., riconosciuta la continuazione  tra  i  reati,
condannato alla pena di anni sette mesi sei  di  reclusione  ed  euro
3.000 di multa; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza: la difesa di P.M.,  cui  si
e' associata quella di D.N., ha riproposto in  questa  sede  la  gia'
sollevata  (dinanzi  al  Giudice  di   prime   cure)   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art.  516  c.p.p.,  con  riferimento
agli articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte  in  cui  non
prevede   la   possibilita'   per   l'imputato,   cui    nel    corso
dell'istruttoria dibattimentale sia stato contestato un fatto diverso
quivi  emerso,  di  chiedere  con  riferimento  a  quello   specifico
fatto-reato, il giudizio abbreviato. 
    Il Procuratore generale si e' pronunziato nel senso  del  rigetto
della istanza, ritenendola non rilevante e manifestamente infondata. 
 
                              In fatto 
 
    P.M. e D.N. erano stati tratti  a  giudizio  per  rispondere  del
reato di tentata estorsione continuata ed aggravata, in concorso  tra
loro e con P.A. 
    Nel corso del giudizio di primo grado, all'udienza del 22 ottobre
2012, dopo l'esame di P.A., il P.M.  ha  proceduto  a  modificare  ai
sensi degli articoli 516 e seguenti c.p.p. il capo di imputazione nei
seguenti termini: «devo procedere ai sensi del  516  a  una  modifica
dell'imputazione ... in questo senso, cioe' nella cancellazione della
menzione  dell'art.  56  nel  capo  d'imputazione  alla  prima  riga.
Aggiungendo alla fine del primo capoverso quindi  dopo  "pari  a  tre
stipendi", "ricevendone la somma di 1.500,00 euro il 26  gennaio".  E
cancellando la frase "non riuscendo nel  proprio  intento  per  cause
indipendenti dalla loro volonta', attesa l'opposizione alle  predette
richieste della persona offesa". A seguito dell'intervenuta modifica,
il P.M. ha chiesto l'ammissione di  una  nuova  prova,  rappresentata
dall'audizione  del  collaboratore  di  giustizia  G.C.G.  mentre   i
difensori degli imputati hanno chiesto termine a difesa, concesso dal
Tribunale. 
    Alla successiva udienza del 19 novembre 2012 i difensori di tutti
gli imputati hanno chiesto definirsi il procedimento con il  giudizio
abbreviato  in  applicazione  dell'art.   516   c.p.p.   cosi'   come
interpretato dalla "lettura combinata"  delle  sentenze  della  Corte
costituzionale n.  333  del  2009  e  n.  237  del  2012  ed  in  via
subordinata, "qualora il Tribunale  non  dovesse  ritenere  di  poter
estendere  all'ipotesi  qui  rappresentata  quanto  gia'   la   Corte
costituzionale ha rappresentato con la sentenza  n.  237  del  2012",
hanno chiesto sollevarsi  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 516 c.p.p.,  in  relazione  agli  articoli  3  e  24  della
Costituzione, "atteso che e' evidente che come per parte  dispositiva
della  sentenza  gia'  in  considerazione,  laddove  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al Giudice del  dibattimento  il
giudizio abbreviato, relativamente al fatto diverso emerso nel  corso
della  istruzione  dibattimentale,  che  forma  oggetto  della  nuova
contestazione e che non risultava gia'  dagli  atti  di  indagine  al
Pubblico ministero"». 
    Il  Tribunale  ha  rigettato  la  richiesta  di  definizione  del
procedimento nelle forme  del  giudizio  abbreviato  e  ritenuto  non
manifestamente fondata la questione di costituzionalita' sollevata. 
 
                             In diritto 
 
    Il fatto di estorsione consumata il  26  gennaio  2011  riportato
nell'unico, articolato capo di imputazione, per il quale entrambi gli
imputati hanno chiesto, nel corso del dibattimento di primo grado, di
essere giudicati con il rito abbreviato, e' un fatto diverso che  non
risultava  dagli  atti  di   indagine   al   momento   dell'esercizio
dell'azione  penale,  essendo  emerso  per  la  prima   volta   dalle
dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato P.,  nel  corso
della centrata udienza dibattimentale. 
    Ed invero, a  seguito  della  modifica  operata  ai  sensi  degli
articoli 516 e seguenti c.p.p., il Pubblico ministero, pur  ribadendo
la  contestazione  agli  imputati,  in  concorso  tra  loro,  di  una
pluralita' di condotte intimidatorie finalizzate ad ottenere di volta
in volta (il 26 gennaio 2011, il 28 gennaio 2011, l'11 febbraio 2011)
dalla persona offesa il versamento di somme di  denaro,  quantificate
con importi di diverso valore, ha  significativamente  aggiunto,  per
una sola di queste occasioni  (collocata  cronologicamente  in  epoca
precedente alle altre), la  circostanza  che  il  destinatario  delle
richieste  avrebbe  ceduto  alle  pressioni,  versando  agli  odierni
imputati la somma di denaro di euro  1.500,00.  Non  vi  e'  pertanto
dubbio che gli imputati, dopo la modifica dell'imputazione sono stati
chiamati  a  rispondere,  in  concorso  tra  loro,  di  due  condotte
delittuose: la prima,  quella  iniziata  il  26  gennaio  200  e  poi
proseguita nel periodo  compreso  tra  il  28  gennaio  2011  e  l'11
febbraio 2011, costituita da una prolungata attivita'  intimidatoria,
non seguita dal versamento da parte della persona offesa  del  denaro
richiesto o di altre utilita' e pertanto  giuridicamente  sussumibile
nella fattispecie incriminatrice prevista dagli articoli  56  e  629,
commi primo e secondo,  c.p.;  la  seconda,  iniziata  sempre  il  26
gennaio 2011, ma conclusasi lo stesso giorno  con  il  versamento  da
parte della persona offesa della somma di euro 1.500,00. 
    Tale ultimo fatto, in quanto frutto  di  una  c.d.  contestazione
suppletiva tardiva fisiologica, esula dalla fattispecie oggetto della
pronuncia della Corte costituzionale n. 333 del 18 dicembre  2009  e,
al tempo stesso, riguardando la contestazione non gia'  di  un  reato
concorrente ex art. 517 c.p.p., bensi' di un fatto diverso  ai  sensi
dell'art.  516  c.p.p.,  neppure  puo'  ricondursi  nell'alveo  della
successiva sentenza della Corte costituzionale n. 237 del  2012.  Con
particolare  riferimento  a  quest'ultima,  va  detto  che  la  Corte
costituzionale si e' limitata  a  pronunciarsi  sulla  questione  nei
termini a  lei  prospettati  dalla  Corte  d'appello  di  Torino  con
ordinanza  23  settembre  2011,  senza  esaminare   il   profilo   di
legittimita' costituzionale dell'art. 516 c.p.p. nel caso in  cui  la
nuova contestazione abbia  per  oggetto  un  fatto  diverso  che  non
risultava  dagli  atti  di   indagine   al   momento   dell'esercizio
dell'azione  penale  e  che  neppure   era   contenuto,   nella   sua
materialita', nella originaria contestazione elevata  dalla  Pubblica
accusa. 
    Ritiene questa Corte territoriale  che  debba,  conseguentemente,
essere sollevata l'ulteriore questione di legittimita' costituzionale
relativamente all'art. 516 c.p.p., in riferimento agli articoli  3  e
24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede
la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice  del  dibattimento
il giudizio abbreviato,  relativamente  al  processo  concernente  il
fatto  diverso  contestato   in   dibattimento,   quando   la   nuova
contestazione concerne un fatto  che  non  risultava  dagli  atti  di
indagine al  momento  dell'esercizio  dell'azione  penale  e  non  e'
contenuto nella sua materialita' nella imputazione. 
    Del resto la  stessa  Corte  costituzionale,  con  la  menzionata
sentenza n. 237  del  2012,  nel  sottoporre  a  nuovo  scrutinio  di
legittimita' costituzionale la preclusione considerata  limitatamente
all'ipotesi della contestazione suppletiva  «fisiologica»  del  reato
concorrente, operata ai sensi dell'art. 517 codice procedura  penale,
ha, in estrema sintesi, individuato le ragioni che ne  hanno  imposto
la declaratoria di incostituzionalita': 
    1)    nell'avvenuto     superamento     dell'argomento     legato
all'indissolubilita' del binomio «premialita-deflazione», gia' con le
sentenze n. 265 del 1994 e n. 333 del 2009, con le  quali  l'imputato
e' stato ammesso a fruire, rispettivamente,  del  «patteggiamento»  e
del giudizio abbreviato in situazioni  nelle  quali  una  «deflazione
piena»  non  puo'  piu'  realizzarsi,  essendosi  gia'  pervenuti  al
dibattimento sul presupposto che la logica dello «scambio» fra sconto
di pena e risparmio di energie processuali debba comunque  cedere  di
fronte  all'esigenza  di  ripristinare  la  pienezza  delle  garanzie
difensive e l'osservanza del principio di eguaglianza; 
    2) nell'ulteriore superamento, sempre con la citata  sentenza  n.
333 del 2009, delle ragioni che avevano  originariamente  indotto  ad
accogliere  analoga  questione  limitatamente  al   «patteggiamento»,
dichiarandola invece inammissibile quanto al giudizio abbreviato,  in
considerazione degli sviluppi  della  legislazione  e,  segnatamente,
delle radicali modifiche apportate alla disciplina  di  tale  secondo
rito alternativo dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479; 
    3) nell'opinabilita' del criterio  della  «prevedibilita'»  della
variazione   dibattimentale    dell'imputazione,    quale    fenomeno
«connaturale»  a  un  sistema  di  tipo  accusatorio  e   della   sua
inidoneita' a giustificare un diverso e meno  favorevole  trattamento
delle  nuove  contestazioni   «fisiologiche»,   rispetto   a   quello
riservato, per effetto delle decisioni della Corte piu' volte  citate
(sentenze  n.  265  del  1994  e  n.  333  del  2009),   alle   nuove
contestazioni «patologiche». Si legge invero nella  sentenza  n.  237
che «il diritto di difesa rischia di essere posto in crisi piu' dalle
modifiche dell'imputazione conseguenti a novita' probatorie emerse ex
abrupto nel corso dell'istruzione dibattimentale, che non  da  quelle
basate  su  elementi  gia'  acquisiti  al  termine   delle   indagini
preliminari: elementi che l'imputato, grazie al deposito  degli  atti
che precede  l'esercizio  dell'azione  penale  (art.  415-bis  codice
procedura penale), «ha gia' avuto modo di conoscere e  valutare  [...
anche sotto il profilo della loro idoneita' a propiziare "incrementi"
dell'imputazione», cosi' come osservato da questa Corte  in  rapporto
al  parallelo  tema  della  modifica  dell'imputazione   nell'udienza
preliminare (sentenza n. 384 del 2006); 
    4)  nell'ulteriore  superamento  normativo  quanto  al   giudizio
abbreviato, del rilievo che valeva a fondare  la  tesi  della  libera
assunzione del «rischio» del dibattimento, legato  al  fatto  che  la
variazione del tema d'accusa rimanga preclusa  nell'ambito  dei  riti
alternativi. Con la riforma del rito alternativo operata dalla  legge
n.  479  del  1999,  a  fronte  della  introdotta   possibilita'   di
arricchimenti  della  piattaforma  probatoria   e   della   correlata
previsione di meccanismi di adeguamento dell'imputazione  alle  nuove
acquisizioni, al fine di evitare  che  il  «rischio»  della  modifica
dell'imputazione  resti  totalmente  a  carico  dell'imputato,   s'e'
riconosciuta, per il caso in cui il Pubblico ministero  proceda  alle
contestazioni previste  dall'art.  423,  comma  1,  codice  procedura
penale del fatto diverso, reato connesso o circostanza aggravante, la
facolta'  di  chiedere  che  il  procedimento  prosegua  nelle  forme
ordinarie. 
    Identiche motivazioni, ad  avviso  di  questa  Corte,  dovrebbero
ricorrere nel caso in oggetto  poiche'  l'imputato  che  subisce  una
contestazione suppletiva dibattimentale, sia  che  si  tratti  di  un
reato concorrente ai sensi dell'art. 517 c.p.p., sia che si tratti di
un fatto diverso ai sensi dell'art.  516  c.p.p.,  soprattutto  nella
peculiare ipotesi (quale quella ricorrente nel caso che occupa) di un
fatto che presenti connotati materiali difformi da  quelli  descritti
nella  contestazione  originaria  che  hanno  reso   necessaria   una
puntualizzazione nella ricostruzione degli  elementi  essenziali  del
reato, viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore, quanto alla
facolta' di accesso  ai  riti  alternativi  e  alla  fruizione  della
correlata  diminuzione  di  pena,  rispetto  a   chi   della   stessa
imputazione fosse chiamato a rispondere fin dall'inizio. 
    Sebbene, a differenza della contestazione del reato  concorrente,
operata  ai  sensi  dell'art.  517  codice   procedura   penale,   la
contestazione del fatto diverso non costituisca un atto  equipollente
agli atti tipici di esercizio dell'azione penale  indicati  dall'art.
405, comma 1, codice procedura penale, la situazione in cui  viene  a
trovarsi  l'imputato  che   subisce   la   contestazione   suppletiva
dibattimentale in tale ultimo caso e' del tutto analoga a  quella  in
cui  viene  a  trovarsi  l'imputato  cui  e'  contestato   un   reato
concorrente: per un verso appare chiaro che, ai fini di una ponderata
scelta di accedere o meno al  rito  abbreviato,  non  puo'  ritenersi
indifferente la contestazione di una fattispecie di  reato  consumata
piuttosto che tentata e, per altro verso, non si puo' pretendere  che
l'imputato valuti la convenienza di detta scelta tenendo conto  tanto
della  possibilita'  che,  a  seguito  del   dibattimento,   l'accusa
originaria venga  diversamente  descritta  o  aggravata,quanto  anche
dell'eventualita' che alla prima accusa ne venga aggiunta una  nuova,
sia pure connessa. 
    Nella  piu'  volte  menzionata  pronuncia  n.  237  della   Corte
costituzionale si legge che «assurge ad indice di  sistema,  riguardo
al fatto che, quando muta in itinere  il  tema  d'accusa,  l'imputato
deve poter rivedere le proprie opzioni riguardo al rito da  seguire»;
considerazione che vale anche per il caso che occupa. 
    E', dunque, fonte di ingiustificato disparita' di  trattamento  e
di compromissione delle facolta' difensive, in ragione  dei  tempi  e
dei modi di formulazione  dell'imputazione,  la  circostanza  che,  a
fronte di tutte le  altre  forme  di  esercizio  dell'azione  penale,
l'imputato  possa  liberamente  optare,  senza  condizioni,  per   il
giudizio abbreviato, mentre analoga facolta' non gli sia riconosciuta
nel caso di  nuove  contestazioni,  se  non  nelle  limitate  ipotesi
oggetto delle sentenze n. 333 del 2009 e n. 237 del 2012. 
    Non solo. 
    Tale compressione del diritto di difesa appare in contrasto anche
con l'art. 3 della Costituzione poiche', a fronte della contestazione
suppletiva in oggetto,  l'imputato  potrebbe  recuperare  i  vantaggi
connessi ad alcuni riti speciali, il  patteggiamento  e  l'obiezione,
sulla base della normativa risultante dalle sentenze n. 265 del  1994
e n. 530 del 1995 della Corte costituzionale, e si vedrebbe,  invece,
inibito l'accesso al rito abbreviato. 
    Ed ancora. 
    Irragionevole fonte di ingiustificata disparita'  di  trattamento
e' il fatto che l'imputato potrebbe recuperare la facolta' di accesso
al giudizio abbreviato secondo un criterio di mera  sorte,  ovverosia
per  circostanze   puramente   «accidentali»   che   determinino   la
regressione  del  procedimento,  ad  esempio  ove  il  fatto  diverso
contestato  rientri  tra  quelli  per  cui  si  procede  con  udienza
preliminare e questa non sia stata tenuta. In tale ipotesi,  infatti,
il giudice, ove la relativa eccezione sia  sollevata  nei  prescritti
termini di decadenza, deve disporre la  trasmissione  degli  atti  al
Pubblico ministero (articoli 516, comma 1-ter,  517,  comma  1-bis  e
521-bis codice procedura penale), con la conseguenza  che  l'imputato
si vede, di fatto, rimesso in termini per proporre  la  richiesta  di
giudizio abbreviato. 
    La prospettata  questione  e'  rilevante  nel  presente  giudizio
potendo  entrambi  gli  appellanti,  ove  fossero  ammessi  al   rito
abbreviato e nell'ipotesi di conferma  della  sentenza  di  condanna,
beneficiare della riduzione di un terzo della pena ritenuta equa. 
    Ne' la disciplina vigente, cosi' come configurata dai  richiamati
interventi della Corte costituzionale, e' suscettibile di  estensione
alla fattispecie in esame attraverso una  lettura  costituzionalmente
orientata  di  essa,   perche'   tale   operazione   ermeneutica   si
risolverebbe, in buona sostanza, in una pronuncia additiva, inibita a
questa Corte. 
    Per  i  sovraesposti  motivi  la  questione  e',  altresi',   non
manifestamente infondata.